Il presente articolo a firma Melissa Alpi è pubblicato all’interno del numero di Novembre di International Tools, rivista che raccoglie il contributo di esperti del mercato import/export e di internazionalizzazione di aziende, trattando tematiche quali il trasporto e l’assicurazione merci, la contrattualistica e i pagamenti internazionali, le garanzie bancarie e l’assicurazione crediti, la consegna della merce e gli Incoterms®, i documenti per l’import-export, la dogana e l’origine delle merci.

Cerchiamo di comprendere le cause della cosiddetta “crisi dei container”, gli effetti del rincaro dei noleggi marittimi e le possibili prospettive.

Noleggi di container al +600%, forti ritardi sulle consegne delle merci, porti congestionati: la situazione del trasporto marittimo è ormai al limite da mesi, complice la pandemia, ma non solo.

Rispetto a ottobre 2019, infatti, le aziende hanno visto i costi di import/export aumentare fino a 6-7 volte, a seconda della merce e del tipo di rotta, con un prezzo medio per un container standard che supera i 10.000 euro.

Se due anni fa spedire un carico da Shanghai a Rotterdam costava sui 2.000 dollari, oggi richiede un esborso di circa 14.000, mentre per la rotta più trafficata, Cina-Stati Uniti, i prezzi salgono fino a 20.000 dollari, a fronte di un servizio tutt’altro che impeccabile.

A pagarne le conseguenze in modo più pesante sono le imprese che trattano merci ingombranti o di scarso valore, ma a risentirne è tutto il mercato, a causa dell’aumento del costo delle materie prime e di prodotti sempre più difficili da reperire.

L’oligopolio del trasporto via mare

Per inquadrare il contesto di quello che, tuttora, costituisce il 90% del trasporto internazionale di merci (fonte: Rapporto “Italian Maritime Economy” 2021), bisogna conoscere i principali vettori marittimi, che gestiscono più di due terzi del traffico via mare. In particolare, tre di questi, Maersk, Mediterranean shipping company (Msc) e la cinese Cosco, detengono oltre il 45% delle navi mercantili, trasportando milioni di container ogni anno e percorrendo centinaia di rotte in tutto il globo.

Se fino allo scoppio della pandemia il mercato marittimo ha vissuto una situazione di relativa stabilità, caratterizzata da noli a prezzi ragionevoli e tempi di consegna perlopiù rispettati, con l’arrivo del virus e dei lockdown il traffico merci ha subito un forte arresto, con navi ferme nei porti per lunghi periodi. Questo ha portato le compagnie a optare per sistemi di aggregazione per condividere costi e rischi, unendosi in tre grandi alleanze (2M, Ocean Alliance e The Alliance) che controllano la quasi totalità degli scambi via mare. Un sostanziale oligopolio, che ha deciso di ottimizzare carichi e tragitti riducendo le rotte, il numero dei porti e privilegiando i cargo più capienti. Risultato: prezzi dei noli aumentati a dismisura (fenomeno più evidente della “crisi dei container”) e fatturati anche triplicati per le compagnie navali, che hanno visto un risultato operativo di 27 miliardi di dollari nel 2020 e, si stima, avranno un profitto sui 35 miliardi di dollari nel 2021.

Una situazione che aggira anche la legge antitrust, in quanto l’Unione Europea ha concesso qualche anno fa alle compagnie navali l’esenzione alle norme anti-monopoli con la Consortia Block Exemption Regulation, recentemente prorogata per quattro anni, oltre alla tassazione favorevole a circa il 7%, rispetto alla media del 27% per gli spedizionieri.

Le cause della crisi dei container

Come detto, i lockdown hanno giocato un ruolo primario nella crisi dei container. Allo stesso tempo, però, al di là delle conseguenze dirette, la pandemia ha semplicemente messo a nudo una situazione di squilibri e inadeguatezza strutturale dei porti, messa a dura prova anche da strategie internazionali ed eventi avversi.

In sintesi, ripercorriamo le tappe che hanno portato alla condizione attuale:

  • verso la metà del 2019 Trump minaccia l’applicazione dal mese di ottobre di dazi altissimi sui prodotti provenienti dalla Cina, un annuncio che causa una corsa alle scorte e che ha come conseguenza un primo aumento dei noli, così come l’occupazione di buona parte dei container disponibili, a scapito delle rotte europee;
  • dopo pochi mesi l’epidemia da Covid-19 è già realtà, iniziano i coprifuoco e la produzione cinese ha una brusca frenata, accumulando ordini e spedizioni, in particolare verso gli USA.
    Le tre alleanze del trasporto marittimo riducono navi e scali, per concentrare la merce sui cargo rimasti, così da riempirli. I noli continuano a salire, complice anche la ripartenza cinese che coincide con i primi lockdown negli Stati Uniti e nel Vecchio Continente, con navi che restano in rada per giorni per assenza di manodopera che effettui lo sbarco della merce;
  • nel frattempo inizia il periodo di transizione della Brexit, che porterà il Regno Unito a non essere più uno Stato membro dell’Unione Europea in modo definitivo dal 1° gennaio 2021. Le regole della Brexit, unite alla pandemia, diminuiranno drasticamente il numero dei camionisti (almeno 100.000), in gran parte stranieri tornati nei loro Paesi di origine e che non hanno fatto più ritorno. I container iniziano ad accumularsi nei terminal, specialmente nel porto di Felixstowe, tanto che i vettori ad oggi sono costretti a dirottare i carichi verso altri porti europei, per poi trasferirli su navi più piccole e raggiungere il Regno Unito;
  • a marzo 2021 si aggiunge l’emergenza creata arriva dalla portacontainer di 400 metri Ever Given, che ostruisce per 6 giorni il Canale di Suez, dove transita il 12% del traffico merci globale;
  • tre mesi dopo è il porto cinese di Yantian, il terminal internazionale dei container, a subire un lungo stop dovuto al contenimento di un focolaio da Covid-19, causando caos e ritardi nei trasbordi, seguito ad agosto dal porto di Ningbo-Zhoushan,il terzo più frequentato al mondo.

Episodi e situazioni che hanno messo sotto stress un sistema logistico già provato da forti squilibri a livello di volumi di scambi, molto più elevati dalla Cina verso USA ed Europa e dall’Europa verso gli USA rispetto alle direzioni contrarie. Un sistema logistico che, a sua volta, deve far fronte anche alla sempre maggiore difficoltà di gestire i cargo sempre più grandi e a porti con scarsa capacità di stoccaggio.

Gli effetti principali del caro-noli

La complessa situazione in cui versa il trasporto marittimo non comporta solo un aumento vertiginoso dei prezzi di noleggio dei container, ma ha come pesante conseguenza anche grossi ritardi, ormai sistematici, in tutta la catena di approvvigionamento delle merci, con una puntualità delle navi che dall’80% è crollata a una percentuale inferiore al 35%.

A creare i ritardi è la situazione di congestione dei porti che va avanti da mesi, sia per il boom di traffico post-lockdown, sia per le dimensioni sempre maggiori delle imbarcazioni che i terminal faticano a gestire, ma anche per le operazioni di controllo legate alla pandemia che rallentano il carico e scarico, con la conseguenza di centinaia di navi ferme in rada (più di 570 a inizio ottobre).

Questo ha causato anche l’aumento del fenomeno del blank sailing, ossia cancellare o saltare lo scalo nel porto congestionato, a volte avvisando con pochi giorni di anticipo e lasciando terra container già pronti per essere caricati.

Si può affermare che la crisi dei container abbia reso evidente che il tanto utilizzato modello “just in time”, il quale prevede di procurarsi le materie prime solo in caso di richiesta, tenendo i magazzini semivuoti, sia al momento troppo rischioso e, in caso di forte ritardo sulla consegna della merce, implica il pericolo di bloccare tutta la catena, facendo aumentare i prezzi dei beni e mettendo in crisi numerose aziende della filiera.

Crisi dei container: conclusioni e prospettive

La delocalizzazione delle produzioni, con filiere che dipendono in buona parte da Cina e Sud-est asiatico, ha giocato un ruolo significativo nello sbilanciamento del traffico marittimo verso USA ed Europa. Diverse aziende si stanno pertanto riorganizzando, cercando di rendere le proprie filiere produttive meno lunghe, dato che la situazione non è destinata a risolversi in tempi brevi.

Gli effetti che per primi tenderanno a rientrare saranno quelli legati alla pandemia, con il boom di ordini che tenderà gradualmente a smaltirsi, mentre le problematiche legate a ritardi strutturali necessitano di periodi decisamente più lunghi.

Nel frattempo alcune compagnie hanno ordinato nuove navi, ma non saranno probabilmente disponibili prima della metà del 2022. Senza contare che il problema dei ritardi è complicato anche dalla mancanza di autisti dei tir per il trasporto a terra, con navi che attendono in porto intere giornate perché i camion sono fermi.

Nel tentativo di trovare una soluzione alternativa a costi e ritardi, diverse grosse imprese internazionali, tra cui Ikea, Walmart, Home Depot, Costco e Target, hanno optato per il noleggio di navi portacontainer private. Scelta differente per Coca Cola, che ha scelto di avvalersi di tre navi bulk carrier (porta rinfuse), su cui ha caricato 60.000 tonnellate di merci, non solo per trovare spazio ormai difficile da reperire, ma anche per poter attraccare in porti non congestionati.

Consapevoli che il caro-noli non sia destinato ad esaurirsi a breve, le aziende, specialmente quelle di medie dimensioni, sono dunque chiamate a individuare metodi differenti, che si tratti di ripensare la propria filiera strategica o di agire a loro volta in alleanza, valutando reti d’impresa per la logistica.