Cos’è l’origine delle merci? Con origine delle merci, in termini doganali, si intende l’identificazione del Paese in cui un prodotto viene acquistato o fabbricato, al fine di individuare possibili benefici e agevolazioni daziarie (frutto di accordi commerciali dell’UE con Paesi terzi) o eventuali restrizioni.

Da non confondere con la provenienza geografica delle merci, l’origine della merce risponde a specifiche norme di origine, diverse in base ai singoli accordi, e si distingue tra:

  • origine preferenziale: i beni conformi alle regole di origine beneficiano di agevolazioni a livello doganale negli scambi commerciali tra Paesi accordisti
  • origine non preferenziale (“Made in”): determina il Paese di produzione della merce, fornendo informazioni su possibili restrizioni in import/export (divieti, dazi antidumping, requisiti di indicazione dell’origine sulla merce…).

Conoscere le norme che regolano l’origine delle merci è fondamentale per usufruire di vantaggi nel commercio internazionale, evitando al contempo sanzioni e imprevisti.

In questo articolo approfondiamo i criteri per determinare l’origine non preferenziale, come funziona il Made in e le possibili sanzioni per fallace applicazione del marchio di origine.

Origine non preferenziale: Made in

L’origine non preferenziale identifica il Paese in cui la merce viene prodotta o fabbricata. Si tratta di beni interamente ottenuti o che hanno subito l’ultima sostanziale trasformazione/lavorazione in un Paese con cui non sono presenti accordi di libero scambio e che, di conseguenza, non concedono preferenze daziarie. L’origine non preferenziale, il cosiddetto “Made in”, è fondamentale per conoscere misure doganali come dazi antidumping, divieti e restrizioni in corso con un determinato Paese, e per sapere quali dati sull’origine da indicare in etichetta.

Come si determina l’origine non preferenziale

Per determinare correttamente il Paese di produzione della merce, si possono consultare le Linee guida in materia di regole sull’origine non preferenziale stilate dalla Commissione Europea e presenti sul sito dell’Agenzia delle Dogane.

Una delle norme principali a cui fare riferimento è l’articolo 60 del Codice Doganale Unionale (CDU), secondo il quale:

  • 1

    le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.

  • 2

    le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

Per quanto riguarda il primo punto, l’articolo 31 del Regolamento Delegato 2015/2446 (RD) specifica che l’intero processo produttivo/economico deve essere svolto in un solo Paese ed elenca le tipologie di prodotti interamente ottenuti. Tra questi troviamo ad esempio materie prime cresciute (animali e vegetali) o estratte (minerali e prodotti del sottosuolo marino) in un determinato Paese, o derivanti da prodotti originari integralmente di tale Paese.

Se si tratta invece di merci ottenute col contributo di due o più Paesi, come al punto 2, l’origine non preferenziale dipende dal Paese in cui ha avuto luogo l’ultima lavorazione o trasformazione, che deve rientrare tra quelle considerate sostanziali e deve essere effettuata presso un’impresa attrezzata allo scopo.

A questo proposito, l’articolo 34 del RD identifica le cosiddette “operazioni minime”, ossia le lavorazioni e trasformazioni non ritenute sostanziali ai fini del conferimento dell’origine:

a. le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione in buone condizioni dei prodotti durante il loro trasporto e magazzinaggio (ventilazione, spanditura, essiccazione, rimozione di parti avariate e operazioni analoghe) o operazioni volte a facilitare la spedizione o il trasporto;

b. le semplici operazioni di spolveratura, vagliatura o cernita, selezione, classificazione, assortimento, lavatura, riduzione in pezzi;

c. i cambiamenti d’imballaggio e le divisioni e riunioni di partite, le semplici operazioni di riempimento di bottiglie, lattine, boccette, borse, casse o scatole, o di fissaggio a supporti di cartone o tavolette e ogni altra semplice operazione di condizionamento;

d. la presentazione delle merci in serie o insiemi o la loro messa in vendita;

e. l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette o altri segni distintivi;

f. la semplice riunione di parti di prodotti allo scopo di formare un prodotto completo;

g. lo smontaggio o il cambiamento di uso;

h. la somma di due o più operazioni tra quelle sopra elencate;

A queste si aggiungono attività come la progettazione di piani, l’ispezione e il collaudo, il controllo di qualità delle merci.

Regole primarie per determinare l’origine non preferenziale

In sintesi, una lavorazione è ritenuta sostanziale se conforme a una delle regole primarie:

  • si rilevi un salto tariffario del prodotto (cambio di capitolo, voce doganale o sottovoce)
  • avvenga una trasformazione specifica individuata dall’Accordo
  • si possa applicare la regola del valore aggiunto, ossia un incremento di valore stabilito dal singolo Accordo.

In caso di merci alla cui produzione abbiano contribuito più Paesi, la prima verifica da effettuare per individuare la corretta origine non preferenziale è controllare se il prodotto finito sia incluso o meno nell’allegato 22-01 del Regolamento Delegato 2015/2446. In caso di risposta affermativa, si possono applicare le suddette regole primarie o, se queste non trovano riscontro, le regole secondarie (o residuali) dei singoli capitoli.

Qualora il prodotto non compaia nell’allegato 22-01, si fa riferimento alla “posizione comune” dell’UE (consultabile sul sito dedicato della Commissione Europea).

In assenza di norme specifiche, si applica la disposizione “antielusiva”, che richiede che l’ultima lavorazione sostanziale avvenga nel Paese di origine della maggior parte dei materiali, calcolata sul valore degli stessi.

Il caso: la norma di origine invalidata dalla Corte di Giustizia UE

Il 21 settembre 2023 la Corte di Giustizia ha dichiarato illegittima una regola dell’allegato 22-01, più precisamente la norma sull’acquisizione dell’origine non preferenziale dei tubi di acciaio inossidabile laminati a freddo con voce doganale 7304.41, a partire da cavi profilati (voce 7304 49). In merito alla causa 210/22, il giudice ha ritenuto non valida la regola della Commissione Europea, in quanto non in linea con il principio di parità di trattamento e in contrasto con le disposizioni del CDU in materia di trasformazione sostanziale. Il criterio relativo ai profilati cavi è infatti ritenuto un’illegittima distinzione rispetto a lavorazioni realizzate a partire da tubi sbozzati, ossia prodotti assolutamente analoghi.

La sentenza della Corte di Giustizia ha dunque valore per i casi che prevedono l’applicazione della medesima norma e può avere ripercussioni per eventuali controversie riguardanti accertamenti di origine. Non esistono però al momento modifiche in vista rispetto alle regole nominate in precedenza, che restano quindi la guida principale da seguire per determinare l’origine non preferenziale delle merci.

Certificato di origine

L’articolo 61 del CDU stabilisce le procedure per comprovare l’origine non preferenziale delle merci in flussi di importazione o esportazione. In caso di dubbi, le Autorità Doganali possono richiedere all’operatore, oltre al documento che attesta l’origine delle merci, qualsiasi altra prova necessaria per verificare l’accuratezza dell’indicazione dell’origine nella dichiarazione doganale.

Per i prodotti sottoposti a restrizioni commerciali all’importazione, è obbligatorio presentare un certificato di origine. Altrimenti, gli elementi di prova sono soggetti al principio della libera prova. Questi elementi non devono essere presentati automaticamente all’atto della dichiarazione in libera pratica, ma devono essere forniti alle autorità doganali su richiesta.

Se il certificato di origine è obbligatorio, l’operatore economico responsabile deve richiederne il rilascio alle Camere di Commercio in forma telematica, presentando la documentazione giustificativa. Se il certificato non è richiesto, ma le Autorità Doganali chiedono informazioni sull’origine, il dichiarante può fornire dettagli come nome del produttore, Paese e luogo di produzione, documenti doganali, contratti commerciali e qualsiasi altra informazione che dimostri l’origine delle merci, inclusa la descrizione del prodotto e la classificazione tariffaria.

Falsa indicazione del Made in: sanzioni penali e amministrative

Conoscere le norme che regolano la corretta determinazione dell’origine non preferenziale è di fondamentale importanza, in quando una dichiarazione fallace costituisce un reato punito dall’art. 517 del Codice Penale (“vendita di prodotti industriali con segni mendaci”).

Indicare una falsa indicazione di origine delle merci, identificando come “Made in Italy” un prodotto che non ne ha i requisiti, rappresenta infatti un modo per influenzare la qualità percepita attraverso una comunicazione ingannevole diretta ai consumatori.

Diversa la situazione in cui ci si limita ad applicare un nome italiano su merci in cui non è chiaramente esplicitata l’origine diversa: in questo caso la violazione è di carattere amministrativo e comporta una sanzione compresa tra 10.000 e 250.000 euro.

A tutelare il marchio di origine “Made in” a livello internazionale è l’Accordo di Madrid, mentre, per quanto riguarda l’Italia, la legge di riferimento è la n. 350 del 24/12/2003, art. 4. Il comma 49 dell’art. 4, nello specifico, identifica come penalmente rilevante la falsa indicazione dell’origine italiana, evidenziando come tale reato sia punibile con una reclusione fino a 2 anni e una multa fino a 20.000 euro. La rilevanza penale non è circoscritta all’uso fallace del marchio “made in Italy”, ma comprende qualunque figura o formula (“100% Italia, “tutto italiano”, “full made in Italy” …) che possa trarre in inganno il consumatore, in assenza di chiare indicazioni sull’origine della merce.